A distanza di dieci giorni, la domanda che mi viene da fare è per l’appunto:
“Che cosa rimane della partecipazione al Congresso Crs, solitamente organizzato alla fine dell’anno?”
Possiamo citare la stanchezza (tanta) tra gli organizzatori, la paura (altrettanta) che le cose non andassero come previsto e che gli imprevisti prendessero il sopravvento, la bellezza di rivedere e di stare insieme a colleghi ed amici che da tempo non vedevi, ma c’è anche altro.
Dopo aver frequentato l’ennesimo evento rimane la consapevolezza che l’esser designato Crs è tale per tutto l’anno e non solo per la festa di fine anno, che l’essere Crs è accettare un percorso che va alimentato con la formazione periodica e sistematica (anche se spesso il nostro ego ci suggerisce che stiamo ascoltando cose che già sappiamo) e che tale percorso va coltivato e condiviso non solo con chi già è cosciente di questo, ma soprattutto con il collega che ne è totalmente distante, ma questo costa chiaramente numerosa fatica.
Il cuore di cosa rimanga dopo gli eventi di questo genere è ancora più in profondità però, e quindi assolutamente delicato, prezioso e da conservare: i certificati Crs sono mediatori che accarezzano le storie di chi li sceglie, che le modellano con maestria e che mettono al centro di ogni discorso l’esigenza del cliente stesso spendendosi per realizzare l’affare migliore per esso, e nulla più.
In una chiacchierata fatta con l’organizzatore spagnolo del corrispettivo congresso Crs in Spagna (ma a livelli e risultati decisamente superiori), lui stesso diceva che noi certificati abbiamo anche delle responsabilità sociali trattando i bisogni e le reali esigenze della clientela, e questo è più che sufficiente per capire che essere certificati Crs, partecipare agli eventi e poi portare sul campo la cultura che periodicamente alimentiamo è un affare così nobile e raffinato da non poterlo tenere nascosto.
Partecipate, e capirete.